a cura di Fili di Rame Aps
Dal televenditore urlante al creator in diretta: cambiano i volti, non le domande
Ci siamo cascati ancora. Dopo gli anni di Wanna Marchi e delle televendite urlate tra amuleti e creme miracolose, sembrava che la lezione fosse arrivata forte e chiara: l’intrattenimento non deve sostituirsi al pensiero critico. Soprattutto quando in gioco ci sono soldi, fiducia e vulnerabilità.
E invece eccoci qui. Oggi non serve più uno studio televisivo né una rete nazionale. Basta una diretta su TikTok, un’app nuova fiammante o una manciata di filtri accattivanti. E il gioco si ripete: stesse promesse (più belle, più smart, più “esclusive”), stesso meccanismo.
Tu guardi, tu clicchi, tu compri. Magari anche senza sapere bene cosa.
Nel frattempo, il mercato globale del live shopping è esploso. In Cina muove miliardi, trainato anche da influencer generati con l’intelligenza artificiale (perché, si sa, i volti finti non inciampano in scandali veri). In Italia stiamo iniziando ora, con app come Bazr, dove i creator vengono formati per vendere meglio, più in fretta, in modo più convincente.
Ma il punto non è demonizzare lo strumento. Le dirette, gli algoritmi, le piattaforme non sono il problema: il problema siamo noi, spettatori e consumatori, se smettiamo di interrogarci.
Chi ci sta parlando davvero? Perché vuole la nostra attenzione? e soprattutto: che cosa stiamo cercando, ogni volta che apriamo un’app?
A noi piace pensare che tecnologia e consapevolezza possano camminare insieme. Che i social possano diventare anche luoghi di resistenza, di creatività, di confronto. Ma per farlo, servono antenne dritte e sguardo lucido.
Perché se è vero che tra cinque anni compreremo (quasi) tutto online, è oggi che possiamo scegliere come farlo, a chi dare – oltre al nostro denaro – anche la nostra attenzione e la nostra fiducia.