di Donatella Muraro
Marcel Bich, un barone valdostano nato a Torino nel 1914, durante la Grande Guerra. I suoi antenati, originari di Châtillon, portavano il cognome di Valtournenche. Bich iniziò a lavorare giovanissimo a Parigi, dove la sua famiglia si era trasferita. Lì completò gli studi universitari, facendo vari lavori, tra cui il fattorino e il rappresentante di lampadine.
Decise di chiamare Bic il suo prodotto rivoluzionario, omettendo la “h” finale del cognome per ragioni di marketing. Questo nome divenne presto sinonimo di praticità e diffusione globale. Bich era caparbio e intraprendente, appassionato di vela (partecipò persino a una Coppa America con l’armo France, come skipper, nonostante i consigli di lasciare il timone a velisti più esperti). Nel 1953, acquistò il brevetto dall’inventore ungherese ebreo László József Bíró, tanto che il termine “penna biro” divenne anch’esso di uso comune.
Nel 1993, Bic raggiunse un fatturato record di 1750 miliardi di lire. Oggi, Bic è un colosso mondiale con vendite in 160 paesi per 25 milioni di penne al giorno, presente sia nei mercati sviluppati che in quelli emergenti, con 3,2 milioni di punti vendita e 9.700 dipendenti. Oltre alle penne, Bic produce rasoi monouso e accendini usa e getta. Marcel Bich, prolifico anche nella vita privata con undici figli, diffidava dell’alta finanza, dei giornalisti e curiosamente dell’imprenditoria a cui apparteneva. Morì a Parigi nel 1994.
Nel 2004, a dieci anni dalla sua morte, il Comune di Torino ha collocato una targa sul muro della casa in corso Re Umberto 60 dove Bich nacque, con la scritta: “Semplificò la quotidianità della scrittura”. Quando qualcuno voleva intervistarlo, la sua fedele segretaria giapponese rispondeva: «Il barone lavora, non ha tempo da perdere». Una storia affascinante per Torino, i torinesi e l’umanità.