Inaugurazione della Cappella dell’Oratorio di San Filippo Neri e della mostra diffusa di arte contemporanea
LA MATERIA PARLA. Sculture d’autore in dialogo con la città a cura di Monica Trigona
Complesso di San Filippo Neri Via Vittorio Emanuele II, 65 CHIERI
Seguirà la visita agli altri spazi espositivi: sagrato della Chiesa di San Filippo, sagrato della Chiesa di San Bernardino, Cappella dell’Ospizio di Carità (Giovanni XXIII), Imbiancheria del Vajro
La mostra sarà aperta al pubblico dal 3 novembre 2023 al 7 gennaio 2024
Sarà una mostra di arte contemporanea ad inaugurare la Cappella dell’Oratorio di San Filippo Neri, che riapre al pubblico dopo un importante intervento di restauro conservativo che l’ha riportata agli splendori originali. E come avvenuto negli anni passati, la Cappella tornerà ad essere uno dei principali luoghi della cultura a Chieri, dove sarà possibile organizzare eventi di vario genere: esposizioni, concerti, spettacoli teatrali, conferenze, incontri.
Si inizia quindi con LA MATERIA PARLA. Sculture d’autore in dialogo con la città, una mostra diffusa che proprio dalla Cappella di San Filippo avrà il suo punto ideale di partenza, ma che si svilupperà in altri quattro siti di Chieri: la Cappella dell’Ospizio di Carità (Giovanni XXIII), il sagrato della Chiesa di San Filippo, il sagrato della Chiesa di San Bernardino e l’Imbiancheria del Vajro, una contaminazione tra architetture classiche e declinazioni artistiche contemporanee che offrirà ai visitatori la possibilità di conoscere autori di fama internazionale.
Curata da Monica Trigona, la mostra si collega a una tradizione che qualifica Chieri e la accredita come una città attenta alle suggestioni dell’arte contemporanea. Una visione che si è rafforzata negli anni con la scelta di valorizzare la Fiber Art, espressione artistica del Tessile, altro grande elemento caratterizzante il territorio. Questa corrente artistica, dalla dimensione internazionale, prende a prestito le tecniche dei tessitori utilizzandole in maniera del tutto inedita e concettuale ed è animata da uno spirito pionieristico nel processo di riuso dei materiali più svariati.
La mostra LA MATERIA PARLA. Sculture d’autore in dialogo con la città si connette idealmente alle esperienze espositive precedenti in ambito della Fiber Art, che ha contribuito a legittimare l’utilizzo di qualsiasi medium, a fronte di una forte e sincera verve creativa.
L’esposizione si propone infatti di indagare certe produzioni plastiche, originali e personalissime, che dagli anni Ottanta del secolo scorso sino ai giorni nostri hanno concorso allo sviluppo della multiforme espressione contemporanea attribuendo grande importanza all’elemento profondo e primario che è sostanza del proprio linguaggio: LA MATERIA. L’artista infatti è andato ad assumere atteggiamenti sempre più radicali nei suoi confronti: talora si piega alle sue forze interne condizionando forme e superfici delle opere, talora gioca con le sue caratteristiche intrinseche praticando differenti aggregazioni e giustapposizioni, talvolta ne stravolge la natura provocando interessanti slittamenti di senso e spiazzamenti percettivi.
Nel percorso espositivo diffuso tra cinque significative sedi cittadine appaiono due opere antecedenti al quarantennio preso in considerazione, una nel giardino dell’Imbiancheria del Vajro, realizzata da Umberto Mastroianni, l’altra nella Cappella dell’Ospizio di Carità (Giovanni XXIII) da Maria Lai, che attraverso le loro ricerche trasversali hanno aperto idealmente la strada alle sperimentazioni più ardite.
Umberto Mastroianni, considerato il successore di Umberto Boccioni per il suo palpitante plasticismo di derivazione futurista, è rappresentato da una scultura bronzea degli anni Sessanta dalle caratteristiche informali. Di Maria Lai, una delle artiste più riconosciute e apprezzate del recente passato, è una riproduzione bronzea della seconda metà degli anni Cinquanta: un Presepio con due figure umane semplificate, quasi geometrizzate, memori della lezione di Arturo Martini di cui l’artista sarda fu allieva, che evocano i contadini della Barbagia, sua terra d’origine a cui era fortemente legata.
Nella stessa suggestiva cappella barocca svetta un’istallazione «fuori dal coro» per dati anagrafici e provenienza geografica della sua autrice, la giovane svedese Diana Orving. Sospesa nella volta, la sua scultura tessile di juta riciclata, che ricorda una placenta e di conseguenza il legame tra madre e figlio, omaggia la ricerca di Lai, richiamandone i celebri lavori tessili.
Proseguendo con le altre opere presentate nella rassegna, da quelle più datate a quelle più recenti, negli spazi esterni dell’Imbiancheria del Vajro ci si imbatte in un artista dall’indiscussa originalità, Aldo Mondino.La sua ricerca provocatoria è stata d’ispirazione per molti creativi delle generazioni successive. Le due sculture in bronzo, “Lobby Star” e “Faccia di bronzo”, di fine anni Ottanta, strappano un sorriso già a partire dai loro titoli, l’esplicito rapporto che le lega alle loro forme e la consueta ironia con cui l’artista tocca temi religiosi.
All’interno dell’edificio si «incontra» Piero Fogliati, uomo raffinato e colto, che nella sua carriera si è concentrato su esperienze estetiche e sensoriali. Utilizzando svariati mezzi tecnologici ha sollecitano i meccanismi umani della percezione dando alla scienza uno sbocco, per così dire, alternativo. I lavori dal sibillino titolo “Latomia”, di fine anni Ottanta, allestiti all’Imbiancheria del Vajro, si inseriscono in questo sforzo di trasmutare in pratica artistica la percezione di fenomeni fisici.
La “Sottiletta” di fine anni Ottanta (come le tre paia di pattini a rotelle realizzati successivamente) di Umberto Cavenago, esposta alla Cappella di San Filippo, è un meraviglioso esempio di sperimentazione sulle infinite potenzialità tecniche e volumetriche della materia. L’artista milanese stupisce «trasformando» la lamiera, il marmo e il ferro in qualcosa di apparentemente così leggero e mobile da rivoluzionarne letteralmente la natura fisica.
Di Giacinto Cerone virtuoso della materia, che si è sapientemente destreggiato tra ceramica, plastica, alluminio, marmo e altro ancora, sono i quattro gessi di inizio anni Novanta, posizionati all’Imbiancheria. La loro sintesi estrema fa pensare ad un’opera di assecondamento e di piacevole abbandono delle mani alla fragile sostanza.
Silvano Tessarollo non cede ai limiti di quest’ultima ma anzi pare coglierne appieno le sfide. Il suo carretto-giocattolo, di fine anni Novanta, alla Cappella di San Filippo, inglobato nella cera, cristallizza il mondo dell’infanzia con una patina che pare nobilitare anche un ambito commerciale “feroce”, sensibilissimo alle pure logiche di profitto.
Nella stessa sede troviamo Antonio Riello, uno degli autori contemporanei più visionari, con un prezioso modellino di sommergibile inglobato dentro una bottiglia di vetro dei primi anni Duemila. Il suo lavoro riflette un certo sguardo critico (e sarcastico) nei confronti dei paradossi della società e allo stesso tempo la capacità narrativa del suo creatore che ha sfruttato appieno il valore simbolico delle forme affiancate.
A pochi passi di distanza si possono scorgere le macchie, le screziature e gli arabeschi delle patinate opere di Carlo Pasini realizzate nel secondo decennio del Duemila. Queste fanno pensare alle tante manipolazioni e lavorazioni che possono subire le superfici modellate offrendo allo sguardo risultati sublimi.
D’altra parte, gli «Incidenti planetari», del 2017, di Marco Mazzucconi, all’Imbiancheria, ci dicono invece che «la logica delle cose si può incrinare» e per questo i suoi lavori non appaiono fissati in un aspetto permanente. L’idea di mutevolezza è altresì intrinseca nella scultura esile di Stefano Bonzano che qua è in mostra. La plastica, componendosi anche delle sue stesse ombre, in una continua dialettica tra pieni e vuoti, attira lo sguardo all’interno della materia innovativa utilizzata.
Continuando nel tour espositivo all’interno del museo, alla presenza di opere man mano più attuali, spiccano le plastiche in resina di Domenico Borrelli che negli anni ha sviluppato una ricerca inconfondibile. Le sue figure antropomorfe e ibride, combinazione tra anatomia umana e oggetto, raccontano identità seducenti e disturbanti allo stesso tempo.
Nella stessa area il «grumo» di Paolo Grassino abbaglia per l’imponente presenza scenica. L’accumulo di corpi neri che si accavallano e stringono gli uni sugli altri, di difficile classificazione (risultato di un’abile commistione tra materiali), crea una drammatica e travolgente tensione. Le quattro teste in cemento, quindi plasmate con materiale da costruzione, da cui penzolano stoffe colorate che coprono metà dei volti, sono un pugno nello stomaco e un invito ad una riflessione profonda.
Spostandosi verso la Chiesa di San Bernardino, sul suo sagrato svetta l’opera di Theo Gallino, installazione ambientale composta da vasi in terracotta, cumuli di mattoni e steli in ferro su cui volteggiano dei grandi pollini. Il risultato di questa visione è comunemente un sentimento di tacito rispetto nei confronti della natura delicata e caparbia che germoglia ovunque e a dispetto dell’opera umana.
Gabriele Garbolino Rù è presente nella Cappella di San Filippo con due lavori che ne evidenziano l’interesse per l’iconografia contemporanea quanto per la tradizione più classica. Sperimentare con i diversi materiali, ingannando anche l’occhio più esperto, mette in risalto il valore tecnico delle sue creazioni.
Lo stesso scenografico luogo fa da sfondo al maestoso portale in acciaio inox realizzato da Salvatore Astore, collocato al posto dell’altare come a indicarne la «sacralità». A questo effetto contribuiscono le importanti dimensioni, la forma di gusto arcaico, la superficie patinata e curvilinea e soprattutto quella crepatura che segna irrimediabilmente l’arcata, ferita che, seppur sanata, rievoca la tragica commedia umana.
Infine, all’esterno della Chiesa di San Filippo, sul suo sagrato, si trova il gruppo scultoreo più recente. Carlo D’Oria ha plasmato una scena con elementi in acciaio che, saldati abilmente hanno originato figure stilizzate e dinamiche. L’opera ci riconduce ai tristemente noti fatti d’attualità, conflitti di guerra in cui l’uomo, ancora una volta dimostra la sua natura più perversa.
In un’ottica ricognitiva, didattica e spettacolare la mostra ospita opere di grande pregio e fattura. A seguire si riporta l’elenco degli artisti coinvolti:
Salvatore Astore, Stefano Bonzano, Domenico Borrelli, Umberto Cavenago, Giacinto Cerone, Carlo D’Oria, Piero Fogliati, Theo Gallino, Gabriele Garbolino Rù, Paolo Grassino, Maria Lai, Umberto Mastroianni, Marco Mazzucconi, Aldo Mondino, Diana Orving, Carlo Pasini, Antonio Riello e Silvano Tessarollo.
La mostra è stata realizzata grazie alla grande disponibilità degli artisti e all’indispensabile collaborazione della Galleria Lara e Rino Costa di Valenza, di Tempesta Gallery di Milano, della Galleria Umberto Benappi di Torino e della galleria Mazzoleni di Torino.
La Cappella di San Filippo, La Cappella dell’Ospizio di Carità (Giovanni XXIII) e l’Imbiancheria del Vajro saranno aperte al pubblico dal 3 novembre 2023 al 7 gennaio 2024, dal venerdì alla domenica dalle ore 15 alle ore 18 con ingresso gratuito. Le opere posizionate sul sagrato della Chiesa di San Bernardino e su quello della Chiesa di San Filippo saranno sempre visibili.
In alcuni giorni di apertura, nell’ambito di un accordo con il Liceo Augusto Monti per i progetti di PCTO, alcuni studenti chieresi accompagneranno i visitatori lungo il percorso espositivo.
Grazie alla collaborazione con la Città Metropolitana di Torino, nelle giornate di sabato 4 novembre esabato 9 dicembre, alle ore 14.30 una navetta gratuita partirà da piazza Castello (lato Teatro Regio) e accompagnerà turisti e visitatori a Chieri, prima all’Imbiancheria del Vajro e poi in centro città, da cui ripartirà alle ore 17.30. Il pubblico potrà così scoprire la mostra LA MATERIA PARLA e gustare a prezzo convenzionato una deliziosa merenda nelle pasticcerie Dolci&Dolci e Buttiglieri, premiate con il riconoscimento Maestro del Gusto 2023-2024. È necessario prenotare il viaggio sulla navetta della Città Metropolitana scrivendo una mail a cultura@comune.chieri.to.it
In programma, venerdì 24 novembre alle ore 18, all’Imbiancheria del Vajro una tavola rotonda dal titolo “L’evoluzione della materia” alla quale parteciperanno la curatrice della mostra Monica Trigona, Roberto Mastroianni, docente all’Accademia Albertina di Belle Arti, e alcuni artisti partecipanti al percorso espositivo LA MATERIA PARLA. Durante la serata verrà inoltre presentato il catalogo della mostra, pubblicato dalla Società Editrice Allemandi di Torino.
Tutte le informazioni sul sito www.comune.chieri.to.it
La Cappella Oratorio nel Complesso di San Filippo Neri (Cappella di San Filippo)
Il Complesso di San Filippo Neri (Ex Complesso Salvatoriani) è situato prossimità della via centrale di Chieri, Via Vittorio Emanuele II, oltrepassato l’Arco monumentale, in direzione di San Domenico. Si tratta di un ex convento di origine seicentesca organizzato attorno ad un grande cortile centrale, adiacente alla chiesa di San Filippo Neri.
La cappella/oratorio si presenta, chiuso tra la galleria di accesso al convento e la chiesa, come un’aula a navata unica con pianta rettangolare, coperta da una volta a botte costolonata. Il presbiterio è absidato, con cupola e cupolino a pianta ottagonale. La prima edificazione dell’oratorio risale al 1695, come conseguenza dell’ampliarsi del convento e del suo collegarsi alla chiesa di San Filippo. Le opere vennero proseguite tra il 1763 e il 1772, su progetto dell’architetto Galletti. Nell’anno successivo la Congregazione dei Filippini decide di far realizzare l’altare in marmo dell’oratorio, ma la configurazione attuale risale alla fine dell’Ottocento, quando il professor Massoglia demolì il presbiterio e lo ampliò, rifacendo interamente la volta (decorata con affreschi) e l’orchestra. Appartengono a questa fase di rifacimenti neo-barocchi gli stucchi dei fratelli Borgogno e del Gianoli. Dopo la chiusura del seminario, anche l’oratorio, come il convento, andò lentamente depauperandosi. Nel 1801, durante la dominazione francese, chiesa e convento passarono al Comune. Dopo la restaurazione, i padri Oratoriani tornarono in possesso degli edifici, ma nel 1819 chiusero il convento per mancanza di religiosi. Dal 1828 al 1949 l’edificio fu sede del Seminario Maggiore di Torino. Fu più volte parzialmente requisito per essere utilizzato come caserma e poi come carcere nel periodo della Grande Guerra. Il Seminario di Chieri è particolarmente caro ai fedeli e alla diocesi torinese perché in esso si formarono numerosi sacerdoti illustri e due Santi: San Giovanni Bosco e San Giuseppe Cafasso. Il Seminario diocesano venne trasferito a Torino nel 1949: il convento fu acquistato dai padri Salvatoriani ed in seguito ceduto al Comune.
I lavori di restauro, iniziati nel gennaio 2021 restituiscono l’antica cappella all’aspetto di fine Ottocento. Attraverso analisi fisico-chimiche è stato possibile ricostruire l’originale impianto. L’intervento, realizzato dal Comune di Chieri anche con un importante contributo della Regione Piemonte, ha riguardato non solo l’apparato decorativo pittorico e quello a stucco, ma l’insieme della cappella, con il recupero impiantistico, finalizzato ad un utilizzo per eventi culturali di vario tipo. La presentazione di tutti i lavori che sono stati compiuti nella Cappella sarà al centro di un convegno che verrà organizzato nel 2024.