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di Chiara Perin
A circa metà di via Maestra, oggi via Vittorio Emanuele II, troviamo un grande arco che sovrasta tutti i passanti.
E’ il simbolo della città di Chieri, voluto dallo stesso comune nel 1580 in onore del Duca Emanuele Filiberto, per suggellare il riavvicinamento della città alla politica dei Savoia dopo la perdita delle libertà comunali.
Il progetto dell’arco, totalmente in muratura, venne curato dall’architetto Tibaldi e rientrava nell’ampio programma di rendere scenografico il corteo ducale e le cerimonie che erano solite transitare proprio nella via centrale della cittadina sabauda. Il percorso era costellato da tre tappe dove ovviamente erano collocati gli altri archi: la prima all’inizio di Piazza Cavour, la seconda a metà con l’Arco di piazza Umberto I e, l’ultima all’arco di San Domenico.
Nel 1561 fu invitato a Torino il famoso Nostradamus, chiamato appositamente dai Savoia per aiutare la fertilità della Duchessa Margherita di Valois tanto che il veggente portò con se un magico elisir.
Durante il suo soggiorno a Torino predisse una nuova nascita «porterà il nome di Carlo Emanuele», disse, «e diverrà il più grande condottiero del suo tempo». Nel 1562 la coppia mise alla luce il Duca Carlo Emanuele I di cui Nostradamus tracciò una sorta di oroscopo che confermava le profezie già annunciate, ma anche la morte che avvenne a Savigliano nel 1630.
Il 1580 fu un anno nefasto per la famiglia Savoia, morì il grande condottiero “Testa di Ferro” pertanto l’arco non poteva diventare un monumento funebre.
Nel 1586 la struttura viene rimaneggiata per celebrare la fortunata nascita del figlio di Carlo Emanuele I e di Caterina di Spagna, Filippo Emanuele, tanto da recare una lapide commemorativa per il lieto evento e per il loro passaggio in città.
La città di Chieri ha lietamente accolto i principi di Savoia e ottimi sposi Carlo Emanuele e Caterina figlia del Re di Spagna, cultori della religione e della prosperità, e nell’anno 1586 ha innalzato questo eterno segno di congratulazione, dopo che con la nascita di un figlio maschio hanno felicemente accresciuto la sicurezza dei sudditi.
Haimè il rampollo morì di vaiolo all’età di 20anni. L’Arco non può riconvertirsi ad un monumento funebre, pertanto cambia nuovamente la persona alla quale viene dedicato e si opta, questa volta a Vittorio Amedeo I, fratello del deceduto.
L’arco subì moltissimi danni durante il periodo della Rivoluzione Francese, in quanto era il simbolo del potere monarchico, ma fu successivamente rimaneggiato e ridipinto.
Nel XVIII quando gli architetti Vittone e Quarini adeguarono al gusto barocco il monumento, posizionando lo stemma sabaudo da un lato e dall’altro il simbolo della cittadina chierese, entrambi in stucco.
Le modifiche più radicali furono apportate da Carlo Alberto il quale decise di ubicare sul timpano della struttura un orologio meccanico, asportati gli stemmi posizionati su entrambe le facciate e, tolte definitivamente le statue posizionate nelle nicchie.
Nel XX secolo avvenne un grande lavoro di restauro che riesce a riportare alla luce una parte delle decorazioni del 1700 come gli affreschi de “l’Abbondanza” e “la Giustizia”
Nel sotto-arco è inoltre presente una lapide patriottica del 1911 con le figure del primo re d’Italia: Vittorio Emanuele II, Garibaldi, il Conte di Cavour e Mazzini.
Si dice che sarebbe meglio non fare promesse, non prendere impegni, non dichiarare il proprio amore, sotto l’arco di Chieri… potrebbe non potare fortuna!