Chi non li conosce? Sono uno dei prodotti da forno italiani più diffusi e conosciuti in Italia e all’estero. Spesso maltrattati nella forma e nella sostanza, quello autentico, tuttavia, ha origini piemontesi.
In questo articolo mi limiterò a raccontarvi un po’ di storia e qualche curiosità sulla loro nascita, prossimamente vi regalerò anche la ricetta. La sto sperimentando e intendo pubblicarla solo dopo averla perfezionata.
I grissini Rubatà, bontà tipica di Chieri
Il grissino Rubatà è un prodotto tipico della gastronomia piemontese, il cui nome significa “arrotolato” e deriva dal dialettale robat, attrezzo cilindrico impiegato nei lavori agricoli per spianare il terreno. La tecnica di formatura dei celebri grissini fatti a mano, infatti, ne ricorda il movimento, poiché vengono afferrati ai lembi, lasciati cadere con fermezza e rotolati sulla spianatoia, per renderli compatti.
Un po’ di storia
Come nascono i grissini rubatà? Le origini dei grissini sono attribuite alla bottega torinese di Antonio Brunero, che intorno al 1679, su commissione di Casa Savoia, creò un prodotto da forno leggero e privo di mollica, perché fosse adatto al piccolo Vittorio Amedeo, che mal tollerava i pani umidi. Dal pane tipico torinese, simile ad uno sfilatino, la ghersa, nacque così il ghersino, variante più sottile, più lunga e asciutta. Tuttavia, altre fonti considerano la nascita del ghersino come diretta conseguenza della svalutazione della moneta. Nel XVIII Secolo la ghersa veniva venduta a pezzo, non a peso, e cambiarne le dimensioni, mantenendo lo stesso prezzo, divenne uno stratagemma per rendere meno sgradito l’aumento. Con il tempo il grissino è divenuto uno dei simboli della gastronomia piemontese nelle due tipologie: stirato torinese (di creazione più recente) e Rubatà.
Caratteristiche e ingredienti dei Rubatà
Del Rubatà si sono diffuse diverse ricette, esistono varianti con farina di frumento, di mais o altri cereali, spolverizzati di semola grossa o semi. Ogni panificio custodisce gelosamente i segreti del proprio impasto. Tuttavia presentano caratteristiche comuni, innanzitutto la metodologia di preparazione artigianale, che conferisce l’aspetto tipico, differenziandoli dai grissini stirati e, soprattutto, da quelli industriali.
Il vero Rubatà fatto a mano presenta delle scanalature a spirale lungo il fusto, è lungo circa 35/40 cm e ha un diametro di 1 -1,5 cm, l’alveolatura è sviluppata e le estremità non presentano un taglio netto, ma i segni delle pressioni manuali. Anticamente veniva cotto nel forno a legna, mentre in tempi recenti i panifici si servono di apparecchi elettrici.
E’ indubbio che rispetto alle ricette delle origini, le preparazioni attuali possano essere molto diverse e, in un certo senso, arricchite, oltre che perfezionate.
Gli ingredienti di base sono farina di grano tenero di tipo 00, acqua, lievito e sale. L’uso di grassi non è sempre previsto, i laboratori del cuneese impiegano burro, la tradizione torinese prevede strutto oppure olio, mentre nelle Valli di Lanzo e in Val Chisone vengono fatti senza aggiunta di grassi. La cottura riveste un’importanza decisiva in quanto la temperatura prolungata e diminuita progressivamente, ne garantisce la consistenza asciutta e allo stesso tempo friabile.
Non solo pane
Spesso al centro di manifestazioni e fiere al fine di valorizzarne l’unicità, rappresenta una delle eccellenze della città di Chieri ed è tutelato come prodotto agroalimentare tradizionale.
Il Rubatà non è solo un sostituto del pane, ma anche protagonista immancabile nella tavola tipica piemontese, per accompagnare taglieri, antipasti e zuppe, nonché ingrediente di ricette tradizionali, come la supa barbetta dei Valdesi, che è nata come piatto umile a base di pane secco, e in tempi di abbondanza si è trasformata in pietanza prelibata, grazie ai grissini.